31.1.11

Lady Verdi ed il perineo di Suez

Nel giorno del mio compleanno, un pensiero vada al mio coetaneo somalo intervistato da giornalisti francesi qualche giorno fa:

"mio padre era un pastore, poi siam diventati tutti poveri... ma ora noi giovani abbiamo tutti un'arma e assaltiamo i cargo"*.

E subito ho pensato a tutti questi disgraziati che vedon passare una ricchezza/povertà a seconda del lato del fucile/contratto da cui stai.

Ebbene.
Se ho i binocoli giusti ed intravedo bene quel che accade più a Nord della Somalia, dalla parte coi datteri e le piramidi del Mare Nostrum, beh sentiremo presto parlare del Canale di Suez, del traffico di petroliere e di quante vite di europei dipendono dalla sua apertura e chiusura. A decidere, poveri noi, sarà la tenuta del sottile filo di bava delle oligarchie competitive che mettono e tolgono presidenti bananieri qua e là, a seconda dei responsi delfici della riga "totale netto €" nei loro files: Egitto.xls, Tunisia.xls, Algeria.xls, Yemen.xls, Marocco.xls ...

Non mi consola sapere che i veri "pirati" di Suez, che prolungarono i mari e separarono le terre furono i governanti dei nostri trisnonni.

Non mi consola sapere che fu un italico pre-Lunardi (Luigi "Mosé" Negrelli, un trentino di nazionalità 'striaca) a progettare la separazione di robetta tipo l'Africa dall'Asia.
...Eppure si era detto di non separare quel che il Signore Iddio aveva unito, ma a quell'epoca si era ancora intenti a mangiare il frutto dell'albero proibito a piene mani, si sperimentava l'uccisione di Dio in ogni modo possibile, relativizzando e incassando le cedole a fine anno.

Mosè separa le acque per salvare un popolo, Negrelli separa le terre per farci passare un bastimento di caffè, Lennon compone la colonna sonora del '900 con una fisarmonica costruita a Castelfidardo**.
Questioni di stile. Ma anche di mode.
Ci meritiamo tutto.

...E non mi consola nemmeno ricordare che Giuseppe Verdi, la Lady Gaga del pre-petrolitico, fece fuori tante penne, quante oche in arrosti finiti nelle fauci di Rossini, mentre perdeva il sonno ad inventare e dedicare l'Aida al taglio cesareo dell'Istmo di Suez.


* spero di linkare il video giusto, ne ho visto uno spezzone nel "blob" francese di Canal+, "Rencontre avec les pirates somaliens", TF1: http://www.wat.tv/video/rencontre-avec-pirates-somaliens-1g4kx_2i0u7_.html

** non trovo riferimenti sul web, ma invito il lettore ad una vacanza marchigiana e consiglio vivamente di passare al Museo della Fisarmonica di Castelfidardo (AN), ricordo di aver visto là la foto di Lennon nella sua sala prove, mentre maneggia uno strumento fatto in loco; pare che Lennon verificasse ed implementasse la bontà delle intuizioni melodiche passando dal piano alla fisarmonica, in alcuni casi pare proprio sia stata la fisarmonica brodo primordiale delle sue composizioni. Non fa fico ammetterlo, ma nonostante l'elettrificazione di bassi e chitarre e l'abbondanza delle sostanze psicotrope di quegli anni, sono l'aria, il miracolo dell'ancia e le mani degli artigiani anconetani a rimanere incontrastati creatori primi.
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30.1.11

Ragusa: asini, formaggi, petrolio

Ragusano, il formaggio.
Ragusano, l'asino.
Ragusano, il vitello (in foto).

Ragusano, il petrolio.

C'è stato un periodo dorato in cui Ragusa fu centro di investimenti eccezionali. Era "la piccola California".
Correva l'anno 1953 e la Sicilia, Ragusa, fu il primo luogo sul territorio nazionale dove si estrasse proficuamente oro nero. Tuttora al largo della costa si estrae e nel corso dei decenni si sono viste fiorire anche basi militari americane e si sa che dove c'è Army c'è casa.

Ma andiamo per ordine.
La scoperta di bitumi ("pece nera") avviene per caso. Ufficiali svizzeri dell'esercito borbonico rimangono impantanati tra i campi a Sud-Est della città. Segnalano la presenza di questi bitumi ed inizia l'asportazione e l'utilizzo su scala dapprima locale. E' il 1838.
Poco prima dell'invasione italiana in Sicilia (ma molto dopo quella dei magnifici famosi Orsi di Buzzati), e mentre di fatto la Sicilia è sommariamente colonizzata da imprese di mezza Europa, è invece una piccola industria inglese che trasforma in miniera di superficie organizzata "il posto della pece nera". Nel 1918 è la volta dei forni gazogeni installati da una società italiana, i quali cominciano a sfornare distillati per bitume di qualità, esportato fino in Inghilterra:
"Con l’asfalto di Ragusa furono lastricate via Montenapoleone a Milano, viale della libertà a Palermo e alcune strade in Inghilterra" (wiki, pagina sull'economia di Ragusa)
Ma altri anni e la fine della Seconda Guerra Mondiale ci vollero prima che si potesse prospettare il sottosuolo e trovare un migliore giacimento, non affiorante ma di poco sotterraneo, di liquidi: si trattava comunque di heavy oil, petrolio a densità API di 19,3° (sui 950 kg al metro cubo, impossibile trasformarlo proficuamente in caburante, anche agli attuali 85 $/barile...); dello stesso tipo iraniano, abbondante ma di scarsa qualità, praticamente dell'asfalto liquido. Se ne estrassero circa un milione di barili ad opera di una ennesima compagnia estera, la Gulf Oil, compagnia parte delle sette sorelle petrolifere, prima assorbita dalla Standard Oil California ed ora facente parte della Chevron Corporation (vedi : Dick Cheney, Condoleeza Rice, George W. Bush, ...). Alla dismissione della attività estrattiva, il tutto fu trasformato in cementificio per il recupero in loco della parte più solida del bitume (per intenderci: cemento per piste d'aereo, ci si costruirono le strips della base aerea di Comiso e se non erro pure all'Aeroporto di Palermo...).

Ora. Se vi fate un giro per via delle Miniere a Ragusa, di quel passato da sogno industriale anche romantico, in cui eravamo importanti agli occhi dei nostri zii d'America, anni in cui inciampavi e ti incollavi all'oro nero (va beh, in una sua versione poco pregiata, ma almeno era Made in Italy), beh quello in cui vi imbattete è questo spettacolo... Una piccola, famigliare, banalissima discarica abusiva.
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28.1.11

1901, inizio del Petrolitico

Il termine Petrolitico, che dà il nome a questo blog, è una libera ma non mia esclusiva italianizzazione del termine inglese the age of oil, letteralmente "l'era del petrolio".
Vuol essere una definizione socio-economico-politica, più che storica o archeologica, non essendo esatto parlare di "era" per un periodo che sta avendo verosimilmente una durata complessiva infinitesima rispetto a neolitico o paleolitico, per la stessa natura del soggetto in questione. Il petrolio infatti è una fonte energetica molto densa, capace di generare una enorme quantità di lavoro e di conseguenza non poteva che creare una epoca densa di eventi; di fatti umani e di umani fatti, ma quest'ultimo è un discorso che merita future trattazioni.

Tornerò di nuovo a parlare più specificamente di petrolio, per ora basti dire che pur essendo usato su scala locale ed in maniera incidentale o domestica da millenni, o al massimo "artigianale organizzata" da una decina di secoli, e soprattutto nella sua forma di affioramento bituminoso, l'inizio dell'era del petrolio è comunemente fatto coincidere con la febbre petrolifera texana (foto grande: pozzi nel Sud del Texas, primi '900).
Anno 1900.
Eccoci nel XX secolo. Epoca che l'emerito storico Bruneteau definirà brutalmente Il Secolo dei Genocidi. Si va ovunque a carbone, nasce qui e là l'idroelettrico, ma da circa 40 anni ovunque si perfora per trovare petrolio, soprattutto negli Stati Uniti d'America; la produzione è disorganizzata, irrisoria, scarsa tenuta produttiva nel tempo, da giacimenti a poche decine di metri di profondità di cui si indovina la struttura in modo aleatorio spesso con gravi perdite di tempo, energie e materiali per perforazioni decise in punti ed a profondità dove nulla è presente se non blocchi di sale, falde profonde, cantine infernali dense di nubi di zolfo. L'estratto è consumato localmente, la capacità di raffinazione nulla (esclusivamente cherosene, sintetizzato per la prima volta in Canada, nel 1846, data da alcuni considerata inizio dell'era petrolifera, essendo la nascita della raffinazione); si aggiunge ai guai di questa industria di pionieri la mancanza di rete di trasporti ferroviari vicino ai luoghi di produzione. La maggiorparte dei perforatori sono più che altro goffi e ricchi artigiani, senza alcuna conoscenza di chimica, animati dalla fame di dollari e dalla sete sciamanica del rabdomante: sulle prime essi più che altro saranno responsabili di danni ambientali gravissimi; molti di loro falliscono a ridosso del Panico del 1873, altri nel Panico del 1893, i restanti vengono spazzati via dal Panico del 1896. Durante questi anni di incertezze industriali, dovute in parte alla inesistenza di leva finanziaria a supporto dell'industria, il prodotto petrolifero rimane quasi ignorato, di scarso valore commerciale, nonostante già molte ricerche gli abbiano attribuito quasi tutte le proprietà teoriche (chimiche e fisiche) per farlo divenire il vero ingrediente del mondo.
E' allora nel gennaio 1901 che, dopo mesi di tentativi, i pionieri della foto in alto a destra finalmente controllano il flusso produttivo di un pozzo a Spindleton, il primo vero grande pozzo industriale americano (localizzato a Beaumont, Texas; pagina ufficiale del giacimento). Nacquero l'industria ed il mercato petrolifero e Beaumont fu la prima città ad essere stravolta da questa possente fonte energetica: in 7 settimane da ogni dove giungono futuri lavoratori per il settore, la popolazione passa da 9000 a 30000 abitanti, diventando uno snodo fondamentale della regione. Per un trentennio sarà il primo porto della South Coast. Dopo il declino petrolifero locale degli anni '30, ci penseranno comunque gli eventi mondiali a tenere alte l'occupazione e le esportazioni: partiranno infatti migliaia di contadini texani, arruolati con un buon salario per combattere i nazisti in Europa. Ma questa è un'altra storia. Del genocidio contadino mondiale tra il 1914 ed il 1946, rimando le chiacchiere à une prochaine fois.

A Spindletop i pozzi principali produssero una quantità abnorme di petrolio per circa un anno, per poi declinare rapidamente e stabilizzarsi su una produzione piuttosto bassa nonostante i progressi tecnologici, fino ad essere dismessi nel 1937 ed utilizzati come miniere di zolfo per qualche tempo (zolfo di scarto, più o meno accidentale, della produzione petrolifera). Lo stesso investitore alla base della produzione miracolosa di Spindletop, il visionario geologo autodidatta Pattillo Higgins, fallì già nel 1902: da un lato una costosa disputa societaria sulle royalties ed in seguito la pioggia di debiti contratti per trivellare ovunque potè lo portarono a non potersi mai arricchire grazie a tutto l'oro nero scoperto; a lui si deve il progetto della città utopica Gladys City di cui resta qualche pezzo, una replica a Beaumont e qualche fotografia su un sito della pro-loco beaumontiana.
Ma nel frattempo la febbre del petrolio era iniziata, nonostante il fallimento dei piccoli produttori improvvisati, l'industria mineraria mondiale si specializzò nell'estrazione petrolifera. Al contempo nascevano grandi banche d'affari, si affinavano e standardizzavano le forme giuridiche delle società anonime grazie alle stabilità degli stati nazioni, nascevano nuovi strumenti finanziari capaci di "arraffare" legalmente, più stabilmente ed efficacemente, denaro fresco sui mercati azionari per garantire le attività minerarie e petrolifere.
Gli USA dunque videro la produzione nazionale di petrolio raddoppiare dai 190mila barili/giorno nel 1900 ai 370mila b/g del 1904: numeri stratosferici se paragonati alla produzione media giornaliera degli anni '60 del 1800: soli 7mila b/g. Per dare un'ordine di grandezza, l'ultimo dato sulla produzione giornaliera media mondiale di petrolio (compresi altri liquidi assimilati quali gas naturale liquefatto, lavaggi di carbone, etc.) è di 85,58 milioni di barili, ad ottobre 2010, con un record di output medio imbattuto a 87,41 mln b/g nel 2008, ragion per la quale il 2008, mese di agosto in particolare, è considerato l'anno del peak oil inteso come il momento in cui è raggiuntoe il massimo storico della produzione mondiale istantanea, ovvero giornaliera, di petrolio ed inizia l'inesorabile declino produttivo.
Per la fine del Petrolitico, c'è ancora tempo. Ma è "un tempo diverso", come quello di quel trentenne ipocondriaco che vede il primo capello bianco e si immagina domani nella tomba.
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Note a piè di post: gli indiani americani locali per l'area di Beaumont ed il Texas meridionale erano appartenenti alla tribù dei Karankawa (disegno ottocentesco a lato), raccoglitori e pescatori, del ceppo linguistico dei centro-americani Cohauiltecan; gran parte decimati dalle epidemie di vaiolo importate dai primi coloni europei. Da secoli essi usavano il catrame affiorante attorno all'odierna Beaumont, e nell'area costiera anche fluviale, per la costruzione dei cayuco, imbarcazioni scavate in un unico tronco d'albero, comprovatamente capaci di viaggi di vari giorni (a seguito di prove di navigazione con repliche di canoe di nativi, per dimostrare la teoria di colonizzazione via mare delle Isole Hawaii nel 1978 Geordie Tocher realizzò una traversata di 4500 miglia, in due mesi). Anche gli esploratori Spagnoli, nel 1543, avevano annotato sui loro diari di bordo la presenza abbondante di "bitumi appiccicosi" lungo le spiagge e i litorali, utilizzabili con profitto come miscela per impermeabilizzare gli scafi.
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Orti ed ortolani contro l'Inferno

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
da Italo Calvino, "Le città invisibili", Einaudi (1972)

Sono anni che queste righe abitano in me e col tempo si sono foderate di un pensiero fisso: che questi chi e cosa a cui Calvino si riferisce come "non inferno", e che bisogna far durare e a cui dar spazio, beh per me non possono essere altro che i luoghi e le persone della produzione del cibo.
Non trovo altra soluzione. Un primordiale Giardino di Eden è sempre anche debolmente presente e richiede spazio, attenzione e cura; sono quei ciuffi di verde che sollevano i nostri marciapiedi o i ruderi urbani: non attendono che di ricoprire tutti i misfatti ed il brutto e quando avranno finito l'opera copriranno anche le cose belle e saranno la giusta prateria sulle ceneri di chi abbiamo amato.

(in foto, Detroit : esperienze di urban farming)
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Genesi, l'uomo

"... il Signore Dio piantò un giardino ... e vi collocò l'uomo ... il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare ... prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse ..."
(Antico Testamento, Genesi I)




Chissà cosa intendeva il Signore Dio, probabilmente non gli serviva che un custode e giardiniere del Creato?







Forse intendeva dare un nobile compito che elevasse proprio l'uomo, non più una bestia tra le altre?







E perchè proprio a lui? Questione di pollice opponibile e questione che senza il pelo del gorilla, gli faceva pena quando se lo immaginava sotto la pioggia o tra i venti delle burrasche della Gola di Olduvai?







In ogni caso, il patto era che questi non mangiasse dell'albero del bene e del male, che gli avrebbe consentito di porre un diabolico dominio sul giardino stesso...

Sia come sia, a distanza di qualche annetto dall'assunzione dell'uomo nel giardino, lo stato di quest'ultimo è disastroso, e lo stato dei giardinieri non è migliore. Occupiamocene.


Poi ci occuperemo della capra, che va salvata coi cavoli; ma prima va salvato il giardino, assieme al giardiniere.

Non è mai troppo tardi per far quel che è ancora possibile.




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27.1.11

Genesi, il giardino


"... il Signore Dio piantò un giardino ... e vi collocò l'uomo ... il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare ... prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse ..."
(Antico Testamento, Genesi I)

Pur con le migliori intenzioni, gran parte del giardino sta facendo la fine delle foreste di Pinar del Rio, Cuba. In queste foto (ingrandendo, è possibile notare nella prima foto una mucca rinsecchita) del designer in permacultura Paulo Mellett si nota cosa succede dopo lo slash e prima del burn e viceversa ("slash and burn", tecnica del "debbio", qui). Dopo il burn, una volta venduti tutti gli alberi tagliati a prezzi stracciati, se ne ripiantano di nuovi e vai: un nuovo ciclo ma con circa il 20% di produttività persa ad ogni generazione di alberi.
Fino al momento in cui il suolo non accetta più l'oggetto-albero.
Finchè non si arriva alla sterilità, oppure ai metri cubi di fango che ad ogni pioggia caraibica si riversano sugli autori stessi della tragedia di cui sopra.
Paulo Mellett è un giovine portoghese che dal 2009 sta pacciamando i Caraibi, spiegando o ri-spiegando ai cubani che nulla è per sempre, tranne gli effetti nefasti di gesti cupidi e stupidi ripetuti per generazioni. Altre foto del suo set su Pinar del Rio, sono qui.
Ce la faranno i cubani? Basterà l'illuminazione di Mellett e di altri?
E tutti noi? Ce la faremo?
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